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molestia

Palpeggiare una donna “per scherzo” è violenza sessuale

17 Luglio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Palpeggiare una donna non integra i più lievi reati di molestia o di violenza privata. Secondo la Cassazione si configura invece il reato più grave di violenza sessuale se vengono coinvolte zone erogene con movimenti rapidi e insidiosi. Quindi il fatto di agire per scherzo non consente di riqualificare il reato in uno di quelli meno gravi. C’è abuso infatti tutte le volte in cui la vittima subisce una limitazione della sua libertà,  ed è costretta a subire violenza contro la sua volontà. (Cass. III pen. n. 46218/2018).

La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, ha condannato un uomo per violenza sessuale ex art. 609 bis c.p.

Questi, infatti aveva tenuto una condotta consistente nel palpeggiare il sedere di una donna, sua collega, in modo ripetuto e rapido.

Secondo l’uomo però i giudici di prime cure erano stati troppo severi con lui.

A suo dire, la sua condotta altro non era che uno scherzo! La difesa infatti sosteneva che, nel palpeggiare la donna, l’uomo ” rideva, quasi in un atteggiamento di sfida, a sfotto'”.

Quindi, secondo questo ragionamento, la sua condotta si sarebbe dovuta qualificare come molestia o violenza privata.

Per questo l’uomo ha fatto ricorso in Cassazione.

Ma la Suprema Corte non ha condiviso le ragioni dell’imputato. Infatti gli insidiosi e repentini palpeggiamenti in zone erogene, su persona non consenziente, configura reato di violenza sessuale.

Gli Ermellini specificano anche che  integra il reato ex art. 609 bis c.p. qualsiasi atto che limita la libertà del soggetto passivo. Soggetto dunque costretto a subire violenza contro la sua volontà.

Quindi si ha violenza sessuale tutte le volte in cui l’atto è così insidioso e rapido da non permettere alla vittima di opporsi.

Per tutti questi motivi la Cassazione ha confermato la condanna per violenza sessuale nonostante l’uomo abbia agito per scherzo. 

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Telefonate mute: è reato anche se per scherzo

28 Maggio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Telefonate mute o squilli anonimi, se ripetuti nel tempo con frequenza molesta, costituiscono reato. E poco importa che l’intenzione è di fare uno scherzo ad un amico (Cassazione Penale, Sez. I, n. 13363/2019).

Una ragazza sporge denuncia. Da tempo infatti, sia di giorno che di notte, riceveva numerose telefonate mute e squilli anonimi da un’utenza a lei sconosciuta. Queste circostanze le hanno causato una forte paura, oltre all’inevitabile disturbo.

Le indagini sui tabulati telefonici della vittima hanno appurato che l’anonimo disturbatore era un suo amico. Nonostante questa rivelazione abbia in qualche modo tranquillizzato la ragazza, il turbamento patito non era nei fatti diminuito.

Il Tribunale, allora, ha condannato il ragazzo al pagamento di Euro 200,00 di ammenda, in quanto colpevole del reato di cui all’art. 660 c.p. La norma punisce, tra l’altro, chi, anche mediante telefono, provoca molestia o disturbo ad altre persone.

Il giovane ha quindi proposto ricorso in Cassazione. A suo dire il giudice di merito aveva erroneamente applicato l’art. 660 c.p.. Infatti, dalle deposizioni della persona offesa non si evinceva nè interferenza alla sua libertà, nè cambiamenti nel suo stile di vita a causa del comportamento molesto. Inoltre non vi era prova che la ragazza avesse patito un disagio psichico o un giustificato timore per la sua sicurezza.

Il ragazzo insisteva poi nel fatto che le telefonate mute fossero solo uno scherzo. Quindi il Tribunale avrebbe sbagliato non riconoscendogli la causa di non punibilità per tenuità del fatto ex art. 131bis c.p.

La Cassazione però ha rigettato il ricorso del ragazzo, condannandolo anche alle spese processuali.

E ha ribadito che il reato in oggetto “consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata”.

E purtroppo – ha specificato la Suprema Corte – sono irrilevanti le motivazioni che spingono a porre in essere quella condotta. Quindi, che si tratti di uno scherzo, poco importa! Se il modo di agire è “pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente“, si configura reato.

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