La Cassazione ha precisato che non può mantenersi il cognome dell’ex marito perché noto. Il giudice potrà ammettere questa possibilità solo nel caso in cui accerti l’esistenza di interessi meritevoli di tutela che consentirebbero ad un coniuge di mantenere il cognome noto dell’ex (Cass. civ., sez. I, ord., 12 febbraio 2020 n. 3454).
Il fatto
Una donna adiva la Suprema Corte di Cassazione impugnando la sentenza d’Appello che, confermando la pronuncia di primo grado, aveva respinto la sua richiesta di mantenere il cognome maritale nonostante l’intervenuto divorzio. La donna fondava il ricorso asserendo che la sua identità sociale e personale fosse strettamente collegata al cognome dell’ex marito. Da oltre vent’anni la donna era conosciuta con il cognome da sposata, quindi negarle la possibilità di continuare ad usare quel cognome l’avrebbe privata della sua identità e le avrebbe arrecato un pregiudizio morale ed esistenziale.
In sede di pronuncia, la Cassazione ha respinto la richiesta della donna. Consentirle di mantenere il cognome maritale avrebbe costituito una ingiustificata eccezione alla regola generale. Tale regola prevede l’obbligo per tutte le ex mogli di riacquistare il proprio cognome.
La questione giuridica
Fino a che punto il nostro ordinamento deve sostenere la coincidenza tra l’identità di un soggetto e la sua denominazione personale?quando può essere ammesso l’utilizzo del cognome maritale successivamente al divorzio?
Le risposte della giurisprudenza
Nel caso di specie la Cassazione respinge il ricorso della donna ritenendo infondati i motivi. I giudici usano due presupposti normativi per la loro motivazione:1)l’articolo 143-bis c.c. il quale stabilisce che «la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze»; 2) l’art. 5, comma 3, l. n. 898/1970: «il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela».
Il nostro ordinamento, quindi, da un lato prevede che la moglie conservi il cognome dell’ex marito solo in caso di separazione (salvo consentire al giudice di impedirne l’utilizzo quando questo possa arrecare un pregiudizio all’uomo). D’altro canto non ammette che a seguito del divorzio la moglie mantenga il il cognome maritale a meno che il giudice non accerti l’esistenza di un interesse meritevole di tutela. Sicché mantenere il cognome del marito dopo la sentenza di divorzio costituisce un’eccezione.
Osservazioni
Ricapitolando, la regola generale prevede che solo a seguito di separazione la moglie usi il cognome del marito nello stesso modo nel quale è avvenuto in corso di matrimonio. Questa possibilità non è prevista a seguito di divorzio a meno che il giudice non lo ammetta eccezionalmente.
In caso di separazione il marito potrebbe opporsi all’uso del cognome da parte dell’ex moglie se ciò risultasse pregiudizievole nei suoi confronti. Una simile possibilità potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui la moglie abbia abbandonato la casa coniugale (subendo così l’addebito della separazione) oppure nel caso in cui vi sia stato tradimento da parte della donna o, ancora, quando sia responsabile di comportamenti penalmente rilevanti.
L’opposizione dell’uomo andrà fatta dinanzi al Tribunale in seno alla causa di separazione o, altrimenti, in un momento successivo. Il giudice valuterà le ragioni dell’uomo e, se le riterrà legittime, vieterà alla donna di utilizzare il cognome del marito.
Anche la moglie potrà adire il Tribunale per ottenere lo stesso provvedimento: in seno al giudizio di separazione potrà infatti chiedere al giudice di non usare più il cognome del marito se questo le arrechi un grave pregiudizio.
Mantenere il cognome del marito. Ipotesi eccezionale
A seguito di divorzio la regola generale impedisce all’ ex moglie di conservare il cognome del marito a meno che non ricorrano ipotesi eccezionali. La richiesta della donna deve infatti essere supportata interessi meritevoli di tutela, valutabili discrezionalmente dal giudice di merito.
La legge non spiega quali possano essere questi interessi meritevoli di tutela. A tal proposito la giurisprudenza è unanime nel ritenere che di certo non può considerarsi tale la semplice notorietà dell’ex marito e la volontà di usufruire dei privilegi a questa collegati. Diversa conseguenze si determinerebbe nel caso in cui vi fossero ragioni lavorative che potrebbero giustificare un provvedimento eccezionale del giudice. Ipotizziamo che l’ex moglie sia una professionista affermata e riconosciuta la cui identità si riflette nel cognome coniugale. Ebbene, impedirne l’utilizzo determinerebbe inevitabilmente dei pregiudizi lavoratiti inaccettabili.
In ogni caso il provvedimento del giudice col quale ammette l’utilizzo del cognome maritale, può essere revocato su istanza di ciascuna delle due parti in caso di ipotesi di particolare gravità.
Il valore de cognome nella Costituzione
Il nome, composto da prenome e cognome, è il principale segno distintivo di ogni persona. È un diritto costituzionalmente tutelato a norma degli articoli 2 e 22 Cost. nonché dall’articolo 6 c.c.. Ogni persona assume un proprio ruolo all’interno della società anche grazie al proprio cognome ed è proprio da qui che discende la necessità di riconoscerne una tutela adeguata.
La scelta del cognome in sede di unione civile.
In conclusione, è interessante anche far riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale 2018/212 inerente la scelta del cognome in sede di unione civile. Alle parti è riconosciuta sia la possibilità di adottare un unico cognome, scelto tra i due delle parti, che mantenere ciascuna il proprio rinunciando così ad un unico e condiviso cognome. Sul tema, il comma 10 della legge n. 76 del 2016 stabilisce espressamente che la scelta del cognome comune è valida per tutta la durata dell’unione. In caso di scioglimento dell’unione civile, o in caso di morte di ognuna delle parti, discende la perdita automatica del cognome comune.
Secondo la Corte questa previsione è conforme al principio di ragionevolezza. In particolare “la natura paritaria e flessibile della disciplina del cognome comune da utilizzare durante l’unione civile e la facoltà di stabilirne la collocazione accanto a quello originario – anche in mancanza di modifiche della scheda anagrafica – costituiscono dunque garanzia adeguata dell’identità della coppia unita civilmente e della sua visibilità nella sfera delle relazioni sociali in cui essa si trova ad esistere».
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