La nuova Legge n. 154/2013, in materia di affidamento del minore, procede sulle orme tracciate dalla precedente Legge n. 54/2006 che ha introdotto in Italia il c.d. affido condiviso.
Oggi, il legislatore ha previsto una disciplina unitaria sia per i procedimenti di separazione dei coniugi sia per quelli relativi ai figli nati al di fuori dal vincolo di coniugio.
I nuovi artt. 337 bis e ss. c.c. hanno sostituito gli artt. 155 e ss. c.c. dettando norme relative ai provvedimenti riguardo a tutti i figli, senza alcuna distinzione tra legittimi e naturali.
Essi ribadiscono il principio della bigenitorialità sancendo ancora una volta il diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e costante con entrambi i genitori.
A tal fine, l’art. 337 ter c.c. stabilisce che il giudice nei procedimenti di cui sopra debba adottare i provvedimenti relativi alla prole con “esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”.
Ne consegue che, in caso di separazione e crisi della coppia, grava sui genitori un vero e proprio obbligo di adempiere ai propri doveri adoperandosi affinché gestiscano responsabilmente l’affidamento condiviso della prole.
Tale forma di affido è considerata ormai lo strumento più idoneo per assicurare l’interesse del minore ad un sereno ed equilibrato sviluppo.
È, infatti, importante ricordare sempre che, anche nei casi più gravi di crisi della coppia, il principale interesse/dovere dei genitori è la salvaguardia del benessere psico-fisico dei figli, a prescindere dalle responsabilità dell’uno o dell’altro nell’aver reso intollerabile la convivenza e dalla conflittualità sussistente tra loro.
Il diritto alla bigenitorialità è un principio che va salvaguardato sempre nell’interesse della prole e dei genitori i quali devono poter partecipare in modo rilevante e attivo alla vita dei propri figli, a prescindere dalla volontà di chiedere o meno l’affidamento.
Solamente l’esistenza di una circostanza non trascurabile può consentire al giudice di derogare al suddetto principio: l’inidoneità genitoriale.
Può accadere infatti che si verifichino delle circostanze talmente gravi da rendere inevitabile l’affidamento del minore ad un solo genitore perché di fatto il comportamento dell’altro risulta pregiudizievole per il figlio.
Tuttavia, sussistendo orientamenti giurisprudenziali poco chiari in tal senso, risulta spesso difficile accertare in concreto i presupposti in presenza dei quali un genitore possa risultare inidoneo all’esercizio del proprio ruolo.
È chiaro che l’inidoneità può risultare da una serie di comportamenti irresponsabili del genitore che si lasci coinvolgere da rancori personali e pregiudizi, intralciando qualsiasi riparto consapevole delle funzioni genitoriali e provocando un danno grave e spesso irreparabile al minore.
Di fatto, la sussistenza della conflittualità, di per sé superabile, può costituire, in alcuni casi, un vero e proprio indice di inidoneità genitoriale qualora sia espressione di un atteggiamento connotato da immaturità e irresponsabilità, tale da rivelare palesemente carenze educative da parte del genitore.
Altre volte, la distanza tra i genitori e la conseguente incapacità di gestire tra loro l’affidamento del minore può rivelarsi decisiva per l’affido ad un solo genitore. Occorre, tuttavia, considerare che la giurisprudenza è divisa sul punto in questione.
L’eventuale distanza fisica sussistente tra i genitori non è di per sé ostativa alla concessione dell’affidamento condiviso se si tratta di due genitori capaci di dialogare tra loro e in grado, sul piano concreto, di perseguire gli interessi del minore.
Di fatto, tra teoria e pratica sussiste una netta differenza e risulta spesso difficile attuare l’affidamento condiviso tra due genitori distanti sul piano fisico e mentale in termini di non collaborazione reciproca e mancata condivisione di obiettivi comuni.
Altro punto non a favore dell’affidamento condiviso può rivelarsi il rifiuto del figlio di frequentare uno dei genitori, espresso in modo esplicito e nella più assoluta serenità.
È ovvio che la volontà del minore non deve essere il risultato di veri e propri condizionamenti attuati più o meno consapevolmente dall’altro genitore; oppure non deve costituire manifestazione della PAS (Parental Alienation Syndrome) ossia la sindrome di alienazione parentale, una sorta di “lavaggio del cervello” realizzato da un genitore contro l’altro e tendente a svilire il rapporto con il figlio, favorendo nel minore lo sviluppo di disprezzo e astio nei confronti dell’altro genitore.
Non a caso, la nuova riforma del diritto di famiglia attuata con Legge n. 154/2013 ci parla di responsabilità genitoriale e non più di potestà.
Senza dubbio, la strada verso l’affido condiviso parte principalmente da essa.
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