La recente giurisprudenza ritiene che il test del DNA costituisce lo strumento più idoneo per accertare la paternità soprattutto in combinazione con altri elementi di prova.
Quanto detto lo stabilisce espressamente la Cassazione con l’ordinanza n. 14916 pubblicata il 13 luglio 2020.
Quando in sede di giudizio è necessario accertare la paternità e la maternità, la consulenza tecnica è il mezzo obiettivo di prova e lo strumento più idoneo ai fini dell’accertamento. Si tratta di una prova con margini di certezza elevatissimi.
Il caso
Un uomo conveniva in giudizio i figli legittimi di quello che riteneva essere il proprio padre biologico. In particolare, il ricorrente sosteneva di essere nato dalla relazione tra la madre e il padre dei convenuti. Chiedeva, quindi, che il Tribunale dichiarasse il de cuius proprio padre naturale.
La prova principe in questi procedimenti è quella ematologica, segnatamente di raffronto del DNA. La rilevanza di questo esame dal punto di vista probatorio è determinata dalla pressoché sicura univocità di risultato. Inoltre, il Giudice, nell’ ordinare l’esperimento di detto mezzo istruttorio, potrà anche dedurre ulteriori elementi di prova ex art. 116 c.p.c.. Per esempio anche l’eventuale rifiuto di sottoporsi al prelievo può essere ritenuto dal Giudice un elemento di prova circa la paternità.
Solo laddove il test del DNA non sia possibile, la prova potrà dedursi con ogni altro mezzo istruttorio, anche presuntivo (ad esempio prove testimoniali e/o documentali).
Nel caso posto all’ attenzione dei decidenti, l’attore si era sottoposto all’esame del DNA non di sua personale iniziativa bensì sull’accordo delle parti, affidandosi ad un noto genetista scelto congiuntamente. Il DNA veniva confrontato con quello di uno dei convenuti, suo parente in linea maschile più prossimo, ottenendo una percentuale del 97,4%. Il risultato era pertanto coerente con il ritenuto vincolo di parentela fra fratelli unilaterali consanguinei, in quanto figli dello stesso padre.
La prova del DNA: caratteristiche
La prova del DNA è espressione del principio di favor veritatis che mira a tutelare il diritto inviolabile dell’individuo alla sua identità personale.
Questa prova ha sostituito, le precedenti analisi probabilistiche basate sull’ utilizzo dei marcatori genetici, proprio grazie all’ elevato grado di certezza per il raggiungimento della verità biologica. Costituisce l’unico mezzo di prova diretto e non presuntivo della paternità, divenuto sempre più frequente nella prassi giudiziaria.
Tecnicamente si procede al confronto tra il profilo genetico del figlio con quello di entrambi i genitori. Una volta individuate nel figlio le caratteristiche genetiche di provenienza materna, si valuta la loro corrispondenza (o meno) con quelle di provenienza paterna. In caso positivo verrà accertata la paternità, in caso negativo, invece, l’indagine si conclude con l’esclusione certa della stessa.
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