Cass. Civile n. 31196/2018. Il parto in anonimato non pregiudica la possibilità per la madre di cambiare successivamente idea. Quindi potrà richiedere il riconoscimento del bambino, a meno che non sia andato in affidamento preadottivo.
Una donna sceglie di dare alla luce un bambino con un parto in anonimato. La circostanza impone dunque l’apertura di un procedimento di adozione abbreviata per il neonato, ai sensi dell’art. 11 della L. 184/1983.
Nel corso di questo iter la donna però ritorna sui suoi passi. Desidera essere mamma di questo bambino.
Quindi presenta al Tribunale per i Minorenni istanza di sospensione della procedura di adottabilità. E contestualmente chiede di poter riconoscere il bambino.
Il Tribunale per i Minorenni però non accoglie la richiesta della donna.
La battaglia di quest’ultima per il riconoscimento del figlio continua in appello. Ma anche la Corte territoriale rigetta le istanze della mamma, sostenendo che, nonostante la donna si fosse rivolta per tempo al Tribunale per i Minorenni, l’appello era inammissibile. Infatti nel frattempo il Tribunale per i Minorenni aveva dichiarato il minore adottabile con sentenza. Ciò avrebbe fatto venir meno l’interesse ad impugnare il provvedimento di rigetto della domanda di riconoscimento.
Quando, dunque, la scelta di un parto in anonimato preclude la possibilità di un successivo ripensamento? E’ sufficiente la dichiarazione di adottabilità del minore?
La Cassazione prende una posizione chiara in proposito. E stabilisce che il riconoscimento materno dopo un parto in anonimato è possibile fino a che il bambino non sia dato in affidamento preadottivo.
E poiché nel caso in esame l’affidamento non era in atto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso della donna.
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