Non commette il reato di diffamazione colui che offende qualcuno in una chat di gruppo, bensì di ingiuria aggravata se l’offeso è presente (Cass. pen. sentenza n. 10905 del 31 marzo 2020).
Il fatto
Un uomo veniva accusato di aver diffamato un conoscente durante una video chat vocale, a carattere temporaneo, sulla piattaforma Google Hangouts. Nel caso di specie rilevava che il destinatario dei messaggi era solamente la persona offesa. Tuttavia la caratteristica della chat era che anche altri soggetti potevano assistere all’episodio.
La persona offesa, pertanto, querelava l’uomo per il reato di diffamazione.
Il Giudice di prime cure accogliendo la tesi accusatoria condannava l’imputato per il reato ascrittogli.
L’umo ricorreva in appello ritenendo, che nel caso in esame, non sussistessero gli elementi costitutivi del reato di diffamazione di cui all’art. 595 c.p.
Tuttavia, anche la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza di I grado che aveva condannato il ragazzo per diffamazione.
L’uomo ricorreva in Cassazione
La Suprema Corte, accoglieva le doglianze del ricorrente e cassava, senza rinvio, la sentenza.
Nell’iter motivazionale gli Ermellini, preliminarmente compivano, un’attenta analisi delle differenze tra il reato di ingiuria e quello di diffamazione constatando, in primis, che entrambi i reati prevedono un’offesa.
Il reato di ingiuria, disciplinato dall’art. 594 c.p., oggi depenalizzato, puniva l’offesa rivolta direttamente ad un altro soggetto, ad esempio durante una conversazione. L’ingiuria si considerava aggravata se a tali offese assistevano altre persone oltre la persona offesa.
Requisiti del reato di diffamazione
Il reato di diffamazione, invece, previsto dall’art. 595 c.p. stabilisce che il bene giuridico tutelato è la reputazione, intesa come l’opinione sociale dell’onore di una persona, la stima diffusa nell’ambiente sociale, insomma, ciò che gli altri pensano di una persona. L’offesa pertanto avviene indirettamente. Nello specifico la condotta si integra quando l’agente si rivolge ad altri parlando male di qualcuno con più di due persone oppure lo fa in forma scritta, per esempio, con un articolo di giornale.
Riassumendo, i presupposti del reato in esame sono quindi i seguenti: l’assenza dell’offeso; l’offesa alla reputazione; la presenza di almeno due persone in grado di percepire le parole diffamatorie (esclusi il soggetto agente e la persona offesa).
Nel caso di specie la Suprema Corte, accogliendo il ricorso e cassando senza rinvio, sottolineava che le espressioni offensive erano state pronunciate dall’ imputato mediante comunicazione telematica diretta alla persona offesa, anche alla presenza di altre persone ‘invitate’ nella chat vocale. Pertanto, l’offeso non era rimasto estraneo alla comunicazione offensiva. Il reato contestato doveva quindi essere qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ai sensi dell’art. 594 del codice penale; reato quest’ultimo, depenalizzato dal D.Lgs. n. 7 del 2016.
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