Gli artt. 147, 315 bis, 337 ter, co 3, e 332 bis cod. civ., recentemente modificati dalla l. 219/2012 e dal D.lgs. 154/2013, fissano, in ossequio all’art. 30 Cost., la regola della comune responsabilità genitoriale, valida anche in caso di separazione o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, alla stregua della quale i figli nati sia in costanza, sia fuori dal matrimonio hanno il diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti da entrambi i genitori, nel rispetto delle loro inclinazioni e aspirazioni naturali.
All’uopo, l’art. 337 ter cod. civ. prescrive la regola dell’affidamento condiviso della prole ad opera di entrambi i genitori, suscettiva di deroga unicamente ove non rispondente all’interesse morale e materiale di essa (a conferma: Cass civ, n. 16594/2008).
Inoltre, dalle norme evidenziate si evince il principio della bigenitorialità, in virtù del quale il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, nonché di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi, diritto peraltro proclamato dall’art. 24 del Trattato sui diritti dell’Unione Europea e dall’art. 9 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, oltre che da numerose pronunce della Corte E.D.U.
La responsabilità genitoriale implica, in particolare, la facoltà e il dovere per ciascun esercente di assumere autonomamente o congiuntamente le decisioni, rispettivamente, di ordinaria o straordinaria amministrazione in tema di mantenimento, cura e istruzione.
Il mancato raggiungimento di un’intesa provoca la rimessione della decisione al giudice, che potrebbe attribuire il potere di scelta, ma solo riguardo alle questioni di ordinaria amministrazione, a un solo genitore, o direttamente imporre una specifica scelta; il giudice individua pure il genitore collocatario, presso il quale il minore, sempre nel suo esclusivo interesse, fisserà la residenza abituale.
Una volta intervenuto il giudice a fissare le modalità dell’affidamento, la vincolatività delle prescrizioni giudiziali è garantita dall’art 709 ter cod. proc. civ., introdotto dalla legge 2006, n. 154, a tenore del quale, in costanza di gravi inadempienze o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto espletamento dell’affidamento, l’organo giudicante può modificare i provvedimenti dati, oltre a potere: ammonire il genitore inadempiente; disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitore in favore del figlio o dell’altro genitore danneggiato; condannare l’inadempiente a sanzioni amministrative pecuniarie a favore della Cassa delle ammende.
Proprio il richiamo dell’art. 709 ter cod. proc. civ. consente di soffermarsi sulle conseguenze che i comportamenti scorretti di un coniuge riverberano sulle scelte giudiziali inerenti all’affidamento dei figli.
In via preliminare, occorre segnalare che, ad avviso della giurisprudenza di merito, la mera presenza di una situazione di conflitto esasperato fra i coniugi, sovente epilogo della separazione personale o giudiziale, non conduce all’automatica esclusione applicativa della regola dell’affido condiviso; ciò al fine sia di evitare strumentalizzazioni del conflitto, su iniziativa di ciascun genitore, onde orientare il giudicante verso un affidamento esclusivo (Corte App. Catania, 04.02.2009), sia di contribuire a superare le tensioni e a recuperare una comune e consapevole volontà educativa verso i figli (Trib. Bologna 15.01.2008).
Nell’evenienza, invece, di un voluto atteggiamento conflittuale di un genitore nei confronti dell’altro palesato, ad esempio, dal fatto di screditare la capacità educativa dell’altro genitore, oppure dalla commissione di reati a danno di quest’ultimo, fra cui maltrattamenti, lesioni personali, diffamazioni, violenze private, atti persecutori, et similia, cui abbia assistito il figlio, e destinati a riflettersi sugli equilibri affettivi, personali e familiari di quest’ultimo, la Suprema Corte di Cassazione reputa derogabile l’affidamento condiviso, lì dove, naturalmente, non più corrispondente all’interesse del minore.
Se ne inferisce che, nell’ottica dell’affidamento della prole, la valutazione dell’interesse del minore non deve limitarsi al mero anelito del bambino alla conservazione della bigenitorialità, ma va pur sempre intesa in funzione del soddisfacimento delle sue oggettive e fondamentali esigenze di educazione, istruzione, assistenza morale e materiale (Cass civ., n. 18559/2016).
Invero, l’affido condiviso, pur astrattamente plausibile, per ricevere concretizzazione necessita di una convergenza di intenti e di un’adesione a un comune programma educativo del minore, circostanza di certo difficilmente realizzabile fra chi ha scelto di interrompere la relazione familiare con toni d’ingente conflitto (Cass civ., n. 17089/2013).
Pertanto, laddove esistente un’insanabile conflittualità fra gli esercenti la responsabilità genitoriale, e addebitabile a uno solo di essi, il giudice ha facoltà di affidare il figlio a, e di allocarne la residenza presso, il solo esercente ritenuto più idoneo a soddisfare le esigenze morali e materiali del minore, pure sulla base di valutazioni del C.T.U; nondimeno, in caso di impossibilità temporanea di affidamento a uno dei genitori, il giudicante può disporre, ai sensi dell’art. 337 ter, co 2, cod. civ., l’affidamento ad altri componenti la famiglia.
Dalle considerazioni finora illustrate, la giurisprudenza di merito trae l’ulteriore conseguenza di un vero obbligo a carico di ciascun genitore di attivarsi per recuperare e mantenere nei confronti del figlio, a tutela della bigenitorialità, un’immagine conforme a realtà dell’altro genitore cui è improntato proprio l’istituto dell’affido condiviso (Trib. Civ. Roma, n. 18799/2016).
Al riguardo, l’art. 709 ter cod. proc. civ. sanziona il genitore che impedisca di fatto al minore di frequentare l’altro esercente la responsabilità genitoriale, sì da creare un vulnus al rispetto della vita familiare di quest’ultima e del figlio, al cui interesse risponde la bigenitorialità.
A tal proposito, la già citata giurisprudenza di merito considera l’art. 709 ter cod. proc. civ. come dotato del pregio di disancorare il risarcimento ivi contemplato dall’accertamento di qualsivoglia patologia o disagio psichico, riconducendolo, più correttamente, fra le c.d. sanzioni civili indirette, notoriamente finalizzate a dissuadere il destinatario da comportamenti contrari alla legge, similmente a quanto avviene mercé gli artt. 614 bis cod. proc. civ. e 114, co 4, let e), D.lgs 104/2010.
In definitiva, le condanne al risarcimento e al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende, di cui all’art. 709 ter cod. proc. civ., non sarebbero più, così opinando, solo una condanna alla corresponsione di un’entità squisitamente risarcitoria strettamente connessa alla prova di un danno subìto, bensì uno strumento dissuasivo volto ad ammonire l’inadempiente a non tenere più, per il futuro, condotte contrarie a correttezza (Trib. Civ. Roma, 27 giugno 2014).
Lascia un commento