La sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 26.11.2002 com’è noto, ha fatto storia.
Essa ha per la prima volta introdotto nell’ordinamento processuale, con riferimento al procedimento notificatorio, un principio di giustizia sostanziale teso a tutelare il soggetto agente da lungaggini del procedimento medesimo non ascrivibili a suo comportamento colpevole.
La Corte dichiara infatti l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 149 c.p.c. e 4 III c. della L. 20.11.1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, dalla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.
In effetti, l’applicazione indiscriminata del principio, poi corretto dalla Corte Costituzionale, secondo cui gli effetti della notificazione a mezzo posta decorrono, anche per il notificante, dalla data di consegna del plico al destinatario anziché dalla data di spedizione, era suscettibile di risultati davvero discutibili: il soggetto che diligentemente avesse rispettato i termini per la notifica, avrebbe comunque notificato tardivamente ove, per avventura, il (dis)servizio postale avesse recapitato il plico al destinatario successivamente allo scadere del termine per la notifica.
Nel concreto il soggetto notificante, per evitare di incorrere in notificazione tardiva dovuta a responsabilità altrui, avrebbe dovuto quindi procedere alla consegna del plico all’ufficiale giudiziario in largo anticipo con l’assurda conseguenza della implicita riduzione dei termini concessi per la notifica.
Giustamente quindi la Corte Costituzionale ha inteso correggere tale anomalia del sistema espressamente dichiarando ciò che in realtà avrebbe dovuto essere considerato ovvio: per il notificante il procedimento di notifica si perfeziona dal momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, e non dalla ricezione del medesimo da parte del destinatario, e ciò in virtù della garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
Questa, in breve, l’interpretazione correttiva della Corte Costituzionale dettata in applicazione di un solare principio di equità sostanziale.
Ma, ed è questo il tema oggetto di questi appunti, ciò che da un lato viene “accomodato”, dall’altro viene “guastato”: nella prassi l’interpretazione correttiva della Corte comincia ad essere utilizzata ed applicata a casi del tutto diversi da quello oggetto di pronunciamento, con risultati ancora una volta davvero aberranti.
Nelle aule di Tribunale cominciano a fioccare richieste di improcedibilità di appelli perché effettuati oltre la scadenza dei termini di legge; si sostiene che il termine per proporre appello debba decorrere, per il notificato, dal momento in cui la sentenza di primo grado è stata consegnata all’ufficiale giudiziario per la notifica.
Per maggiore chiarezza ecco un esempio pratico: sentenza consegnata all’ufficiale giudiziario in data 01 aprile 2010 e recapitata al destinatario il 09 aprile 2010. Il termine breve per proporre appello, secondo questa impostazione, scade il 01 maggio 2010 e non il 09 maggio 2010.
L’argomentazione portata a sostegno è che la Corte Costituzionale ha affermato che il procedimento notificatorio si perfeziona dal momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e non dalla ricezione da parte del destinatario, ergo consegna dell’atto il 01 aprile … termine per l’appello 01 maggio!
Si consenta di affermare che la fantasia degli operatori del diritto talvolta non ha limiti. Del tutto stravolgendo il principio di diritto affermato dalla Corte Costituzionale, si arriva ad affermare che il termine per l’appello comincia a decorrere quando ancora non se ne ha notizia!
L’interpretazione da ultimo citata non ha alcun sostegno giuridico.
E’ assolutamente incontrovertibile che l’appellante debba essere a conoscenza della notifica della sentenza di primo grado affinchè il termine breve cominci a decorrere. Tale conoscenza sicuramente non c’è nel momento in cui la sentenza viene consegnata all’ufficiale giudiziario per la notifica, ma solo al momento, successivo, della ricezione dell’atto. Basti pensare, per ipotesi estrema, che se la sentenza di primo grado viene consegnata per la notifica il giorno X ma viene concretamente recapitata dopo trenta giorni, al momento in cui la controparte ne ha notizia è già scaduto il termine per proporre appello!
Deve allora farsi chiarezza: 1. Per il notificante il procedimento di notifica si perfeziona al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, indipendentemente dalla ricezione di controparte (così la Corte Costituzionale); 2. Per il notificato il procedimento di notifica si perfeziona dal momento della ricezione dell’atto. I nostri avi latini direbbero che, infatti, nel primo caso, il notificante certat de damno vitando, nel secondo caso invece il notificante – ove si ritenesse che gli effetti della notifica decorrono dalla consegna della sentenza all’ufficiale giudiziario – certat de lucro captando.
In altri termini il principio affermato dalla Corte Costituzionale è valido nei casi in cui deve evitarsi che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di un’attività riferibile a soggetti diversi dal notificante stesso. Laddove invece l’applicazione del principio produca un danno a carico del destinatario – che vede incolpevolmente ridursi i termini per l’esercizio del suo diritto di difesa – , il principio va disapplicato in favore di quello, generale, che ricollega gli effetti della notificazione alla ricezione dell’atto da parte del destinatario.
In effetti la ratio, in un caso come nell’altro è sempre la medesima: si vuole schivare il pericolo che le lungaggini del procedimento notificatorio producano effetti pregiudizievoli alla parte diligente: per il notificante (che vuole evitare la scadenza di un termine) ciò implica che sia sufficiente la data di consegna dell’atto per la notifica; per il notificato (che ugualmente vuole evitare la scadenza del termine per appellare) ciò implica che gli effetti della notifica si producono nel momento della ricezione dell’atto.
Per fortuna la giurisprudenza pone di nuovo rimedio e con la sentenza n. 28 del 23 gennaio 2004 la stessa Corte Costituzionale afferma a chiare lettere il principio secondo il quale “il momento in cui la notifica deve considerarsi perfezionata per il notificante deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario […]” per cui “ove a favore o a carico di costui – il destinatario n.d.r. – la legge preveda termini o adempimenti o comunque conseguenze dalla notificazione decorrenti, gli stessi debbano comunque calcolarsi o correlarsi al momento in cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti”. Ed in senso conforme alla citata sentenza, la Corte di Cassazione, con orientamento ormai consolidato ha emesso le seguenti sentenze: Cass. 12 novembre 2008, n. 27010; 26 febbraio 2008, n. 4996; 21 maggio 2007, n. 11783; 11 maggio 2007, n. 10837; SS. UU. 13 gennaio 2005, n. 458; Cass. 8 settembre 2004, n. 18087; 14 luglio 2004, n. 13065; 17 luglio 2003, n. 11201. Il principio del resto è sancito espressamente anche dall’art. 4, IV c., L. n. 890/1982 secondo il quale “i termini che decorrono dalla notificazione si computano dalla data di consegna dell’atto al destinatario” e dall’art. 149, III c., c.p.c. secondo il quale “la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha conoscenza legale dell’atto”.
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