Si configura il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. per la moglie che non restituisce al coniuge i beni di sua proprietà, andando contro il provvedimento di separazione. (Cass. 52598/2018)
Due coniugi si separano. Il provvedimento di separazione autorizza il marito a recuperare alcuni beni di sua proprietà, detenuti dalla moglie. Nonostante tutto l’uomo non si premura di ritirare immediatamente le sue cose.
Una precisazione. La sentenza della Cassazione in oggetto non è chiara su un punto. Parla, genericamente, di “provvedimento di separazione”. Si ritiene quindi si sia trattato di una separazione consensuale. Pertanto il giudice si sarebbe limitato ad omologare delle condizioni preventivamente concordate tra i coniugi. Tra cui quella della restituzione dei beni mobili in favore del marito. Perchè, in effetti, non competerebbe al Giudice della separazione di decidere circa la sorte dei beni personali dei coniugi.
Passano quasi due anni da quel provvedimento, e finalmente il marito si decide a ritirare i suoi beni, conservati in un locale nella disponibilità dell’ex. Alla comunicazione di questa decisione l’uomo riceve un netto rifiuto! E non solo! La donna gli comunica di aver svuotato il deposito proprio per impedirgli di rientrare in possesso dei suoi beni.
A questo punto l’uomo querela la ex, la quale viene condannata, in primo grado, per appropriazione indebita. Il difensore della donna propone allora appello sperando in un’assoluzione, sostenendo che il fatto di reato non sussistesse.
E questo a causa del lungo lasso di tempo trascorso tra il provvedimento che prevedeva la restituzione dei beni, e la querela sporta dal marito.
Ma la Corte d’Appello conferma la condanna di primo grado.
La Corte ha chiarito infatti che il termine per proporre la querela non decorrerebbe dal provvedimento di separazione. Decorrerebbe invece dal momento in cui è stato negato al proprietario il suo diritto. E quindi dalla richiesta del marito a riavere le sue cose ed il consequenziale rifiuto della donna.
La signora non demorde e ricorre in Cassazione, sostenendo che la motivazione della decisione della Corte Territoriale fosse illogica ed incompleta.
Ma la Suprema Corte, in prima battuta, rileva che le osservazioni sulla tardivita’ della querela non hanno fondamento, confermando la tesi della Corte d’Appello. Inoltre riconosce la logicita’ e la congruita’ delle motivazioni alla base della decisione emessa in appello. Quindi rigetta il ricorso della donna confermando la sua condanna per appropriazione indebita.