A causa della pandemia causata dal covid19, meglio conosciuto come coronavirsu, il nostro Paese nelle ultime settimane ha avuto come diretta conseguenza l’alterazione delle abitudini degli italiani. La nostra quotidianità è stata completamente stravolta: negozi chiusi, obbligo di rimanere a casa, scuole ed università interdette, servizi pubblici sospesi, ecc.
Nonostante attualmente la priorità assoluta resta la sconfitta di questo nemico invisibile, chiamato covid19, risulta lecito interrogarsi anche su altre problematiche.
Particolarmente controversa risulta essere la questione della corresponsione di determinati canoni periodici a fronte di servizi che risultano essere sospesi o interrotti. Tra i casi più comuni vi è il pagamento della retta scolastica degli istituti scolastici privati.
Il DPCM 11 marzo 2020 ha infatti sospeso la frequenza delle scuole ed università, facendo salva la possibilità di svolgimento di attività didattiche a distanza.
Essendo le scuole impossibilitate ad erogare il servizio, i genitori possono rifiutarsi di pagare il canone mensile?
Alla luce dell’attuale legislazione la risposta sembrerebbe essere positiva.
L’art. 1463 c.c. stabilisce infatti che «nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito».
Il provvedimento governativo che a causa del covid19, ha imposto la chiusura delle scuole ha determinato la oggettiva impossibilità per la struttura di erogare il servizio; d’altro canto il servizio stesso è divenuto inutilizzabile da parte alunni. Appare dunque pacifico che l’obbligo di pagare la retta mensile dovrebbe venire meno, in applicazione appunto dell’ art. 1463 c.c. Inoltre, le somme eventualmente già versate quale corrispettivo per il periodo interessato dal “blocco”dovrebbero essere interamente restituite.
Tuttavia l’art. 1463 c.c va letto in combinato disposto con l’art. 1256 c.c., il quale afferma che «L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento». Tra le ipotesi di “causa non imputabile” ai sensi dell’ art. 1256 c.c. la giurisprudenza annovera l’ordine della autorità che vieta di effettuare la prestazione (Cass. civ., n. 23618/2004; Cass. civ., n. 119/1982).
Conclusivamente quindi…
Sembrerebbe possibile affermare che si può sospendere il pagamento della rata scolastica fino a quando il servizio offerto dalla struttura non potrà riprendere regolarmente. Bisogna tuttavia precisare che, nel caso di specie la sospensione è temporanea poiché è ragionevole ritenere che la situazione di emergenza covid19 sia destinata a cessare. Il relativo contratto non dovrebbe quindi ritenersi definitivamente risolto, ma solo momentaneamente sospeso.
Conseguentemente entrambe le parti sono esonerate dall’adempiere le rispettive prestazioni fintanto ché resterà in vigore il provvedimento inibitorio.
La soluzione è la medesima se la scuola offre il servizio di “didattica on line”?
il DPCM, emanato per la lotta al covid19, tuttavia non impedisce in modo assoluto il proseguo dell’attività scolastica, ma fa salva la possibilità di svolgimento di attività a distanza. In queste settimane, infatti, moltissimi studenti hanno continuato a seguire le lezioni, ricevere esercizi da svolgere a casa e sostenere perfino esami, il tutto online. Nonostante questa modalità di svolgimento dell’attività didattica appare assolutamente inusuale, non si può di certo affermare che il servizio sia venuto totalmente meno. In questi casi diventa difficile stabilire se la prestazione di natura didattica sia davvero divenuta impossibile ai sensi dell’art. 1256 c.c.
Da un lato tale modalità di svolgimento della didattica potrebbe essere intesa e concepita come una modificazione delle clausole originarie del contratto. L’impegno giuridico dell’ente scolastico aveva infatti una differente natura, in quanto l’attività si sarebbe dovuta svolgere in aula con un contatto diretto con i docenti. Così concepita ed intesa, la prestazione originaria è effettivamente divenuta impossibile nonostante l’impegno dell’istituto scolastico.
Dall’altro lato invece potrebbe essere intesa come una soluzione per evitare l’impossibilità sopravvenuta e continuare a corrispondere la prestazione originale. Ovviamente ciò verrà fatto con modalità di svolgimento diverse rispetto a quelle precedentemente pattuite. Tuttavia il contratto sarebbe salvo ed entrambe le parti sarebbero tenute ad adempiere le rispettive obbligazioni. Nulla toglie che le parti potrebbero liberamente accordarsi, anche attraverso una opportuna ridefinizione del corrispettivo. Se però tali modalità “alternative” erano già state previste ed accettate all’ inizio del rapporto, non dovrebbe esservi spazio per l’applicazione dell’art. 1463 c.c.: la retta sarebbe comunque dovuta.
Soluzioni giurisprudenziali
Sul punto la giurisprudenza afferma che «l’impossibilità della prestazione deve consistere, ai fini dell’esonero da responsabilità del debitore, non in una mera difficoltà, ma in un impedimento obiettivo ed assoluto che non possa essere rimosso» (Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2013 n. 25777) o «tale da costituire un ostacolo insormontabile all’adempimento non solo per un particolare debitore ma in genere per tutti i soggetti della medesima condizione» ( T.A.R. Milano -Lombardia- sez. II, 21 maggio 2013 n. 1337).
In definitiva, quindi, la sospensione del canone mensile non risulterebbe lecita nel caso in cui l’istituto scolastico si sia attivato per garantire la didattica agli studenti. In tali situazioni sarebbe piuttosto opportuno una rinegoziazione delle condizioni contrattuali.
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