La vittima ha il dirito vivere senza il timore che chi l’ha offesa le si avvicini. Il giudice può decidere sul divieto di avvicinamento mettendo il veto sul “dove” andare, senza specificarlo. (Cass. Pen., Sez. V pen., 26/3/2018, n.18139)
Il caso ci racconta di un uomo indagato per il reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. a danno di una signora e dei suoi familiari.
Il Tribunale del Riesame gli vieta dunque di avvicinarsi sia alla donna sia alla sua famiglia, disponendo il divieto di avvicinamento ex art. 282-ter c.p.p. ai luoghi che queste persone frequentavano.
Ma lui ricorre in Cassazione. Sostiene infatti che il provvedimento non specifichi con chiarezza quali siano i luoghi che deve evitare.
La Suprema Corte, conferma però quanto deciso dal Tribunale: poco importa quali siano i luoghi precisi che la vittima frequenta. Il giudice, infatti, non deve specificare “dove” l’offensore non può andare. Il giudice deve tutelare la vittima vietando a chi l’ha offesa di avvicinarsi a lei. Il luogo sarà poi di volta in volta individuato a seconda delle esigenze di vita sue e dei suoi familiari.