È reato, ed è rischioso, prescrivere farmaci e diete se non si è un medico. Ma il “paziente”, in questi casi, può essere risarcito solo se prova che la dieta ha effettivamente procurato un danno (Cassazione civile, sez. III, 10 Maggio 2018, n. 11269)
In uno studio medico associato, una dottoressa prescrive una dieta e dei farmaci da banco a una ragazzina un po’ in sovrappeso, rilasciando anche un certificato ad uso assicurativo. La dieta funziona, ma la ragazza, dopo aver perso i primi chili, accusa una certa stanchezza e decide di interrompere la terapia.
Nel frattempo si scopre inoltre che la dottoressa non è un medico, bensì una farmacista specializzata in naturopatia. La ragazza pertanto, decide di citarla in giudizio per il danno subito.
La farmacista viene in primo grado assolta così la ragazza fa un primo ricorso. La Corte d’Appello condanna la farmacista per esercizio abusivo della professione medica, ex art. 348 c.p. ma anche al risarcimento di 10.000 euro per il danno morale. Somma calcolata sia perché la dottoressa non aveva mai chiarito di non essere medico, sia perché la paziente era, all’epoca dei fatti, minorenne.
La farmacista ricorre a sua volta alla Suprema Corte di Cassazione, contando sull’assoluzione. La Suprema Corte in effetti conferma il reato di esercizio abusivo della professione medica ma revoca il risarcimento. Questo infatti, era frutto di un errore di interpretazione di una famosa sentenza delle Sezioni Unite (n. 26972 dell’11/11/2008).
Da un lato, infatti solo la laurea in medicina, e la successiva abilitazione e iscrizione all’albo permettono di diagnosticare patologie e prescrivere farmaci. Dall’altro però il danno morale può essere risarcito solo se viene provato, e non esclusivamente perché il “presunto danno” è in relazione con il reato.
Sottolineiamo anche che la prova è valida anche solo per indizi e presunzioni questo proprio per la natura del danno morale. Si tratta infatti di una sofferenza interiore la cui gravità non si può provare oggettivamente a meno ché non raggiunga livelli davvero molto gravi. Nel nostro caso invece la “paziente” non era riuscita a provare in nessun modo di avere subito un danno.