Il 5 giugno 2016 è entrata in vigore la Legge n. 76 del 20 maggio 2016, meglio nota come Legge Cirinnà. Detto provvedimento regola le unioni civili, tra persone dello stesso sesso, e le convivenze di fatto, tanto tra persone dello stesso che tra persone di sesso diverso.
L’UNIONE CIVILE, tra persone maggiorenni dello stesso sesso, si costituisce di fronte all’ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni. L’atto di unione civile viene registrato, a cura dell’ufficiale di stato civile, nell’archivio dello stato civile.
Qualora lo desiderino, le parti dell’unione civile, possono scegliere, tra i loro, un cognome comune. L’altra parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone comunicazione all’ufficiale di stato civile.
Con la costituzione dell’unione civile le parti acquistano gli stessi diritti ed assumono i medesimi doveri. Dall’unione civile scaturisce l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione.
Non c’e’ vincolo di fedeltà.
Entrambi i componenti dell’unione civile sono tenuti, in relazione alle proprie sostanze ed alle proprie capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.
Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune.
In mancanza di diversa convenzione, il regime patrimoniale ordinario dell’unione civile è costituito dalla comunione dei beni.
Di grande rilievo, quanto previsto nella legge in oggetto per quanto riguarda eredità, TFR, reversibilità, ed indennità di preavviso e fine rapporto:
la parte dell’unione civile avrà diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) spettante all’altra parte al momento della cessazione del rapporto di lavoro, nella stessa misura in cui esso attualmente è riconosciuto all’ex coniuge divorziato e non risposato, titolare di assegno divorzile; la parte dell’unione civile ha diritto di ottenere la reversibilità della pensione dell’altra parte, secondo la normativa attualmente in vigore a vantaggio del coniuge; inoltre l’indennità di preavviso e quella di fine rapporto andranno corrisposte, in caso di morte del lavoratore, anche alla parte superstite dell’unione civile.
Con specifico riferimento ai profili successori il comma 21 dell’articolo unico della Legge n. 76/2016 prevede, in particolare, che alle parti dell’unione civile si applichino gli articoli da 463 a 466 (dell’indegnità); da 536 a 564 (Dei legittimari – dei diritti riservati ai legittimari – della reintegrazione della quota riservata ai legittimari); da 565 a 586 (Delle successioni legittime); da 737 a 751 (Della collazione) e da 768-bis a 768-octies (Del patto di famiglia). Ne consegue che ogni riferimento al coniuge contenute in queste norme dovrà essere inteso come riferito anche alla parte dell’unione civile.
L’unione civile si scioglie, oltre che in alcuni casi tassativamente previsti dalla legge (come ad esempio per morte, o dichiarazione di morte presunta) anche in caso di proposizione di domanda di scioglimento all’ufficiale di stato civile. La domanda di scioglimento deve essere preceduta, tuttavia, dalla manifestazione delle parti, anche disgiuntamente tra di loro, all’ufficiale di stato civile, di volontà di scioglimento. Dalla data della manifestazione della volontà alla domanda di scioglimento devono intercorrere tre mesi.
Come noto, per quanto riguarda le adozioni, la legge in oggetto sancisce espressamente che non possano estendersi alle unioni di fatto le disposizioni di cui alla L .184/1983, fermo restando “quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Non è ammessa l’adozione legittimante, c.d. Stepchild adoption, anche se alcuni Tribunali l’hanno riconosciuta.
Le CONVIVENZE DI FATTO sono invece quelle che si instaurano tra due persone maggiorenni (indistintamente eterosessuali od omosessuali), che convivono stabilmente, tra loro non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile, ma comunque unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale.
La convivenza di fatto, pur essendo irrilevante per ciò che concerne i rapporti personali tra i conviventi, attribuisce ai conviventi una serie di diritti relativi sia alla sfera della tutela della persona sia a quella patrimoniale.
I conviventi hanno gli stessi diritti dei coniugi nell’assistenza del partner in carcere e in ospedale; inoltre ciascun convivente può designare l’altro (in forma scritta ed autografa, oppure alla presenza di un testimone) a decidere al suo posto in materia di salute (in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere) e per quanto riguarda la donazione di organi, modalità di trattamento del corpo e celebrazioni funerarie (in caso di morte).
La convivenza di fatto è equiparata all’appartenenza ad un nucleo familiare, qualora quest’ultima costituisca titolo o criterio preferianziale per le graduatorie per l’assegnazione di case popolari.
Nessun diritto spetta – in assenza di disposizioni testamentarie – al convivente in caso di morte del compagno.
Con specifico riferimento ai diritti derivanti dalla morte di uno dei conviventi, la Legge n. 76/2016 si limita esclusivamente a prevedere che:
- il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni (che diventano tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e comunque non oltre i cinque anni. Tale diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto;
- in caso di morte del conduttore, il convivente superstite ha facoltà di succedergli nel contratto di locazione della casa di comune residenza;
- in caso di morte del convivente derivante da fatto illecito spetta al convivente superstite il diritto al risarcimento del danno, così come previsto in favore del coniuge.
I conviventi “possono” regolare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune, sottoscrivendo un contratto di convivenza.
Tale contratto (come anche le sue modifiche e la sua risoluzione per accordo tra le parti) deve essere redatto, a pena di nullità mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne attestano la conformità alle norme imperative ed all’ordine pubblico. Il professionista è tenuto, entro dieci giorni dalla sottoscrizione a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.
Il contratto di convivenza si risolve per:
- accordo tra le parti;
- recesso unilaterale;
- matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
- morte di uno dei due contraenti
In caso di cessazione della convivenza, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere ai propri bisogni, in maniera proporzionale alla durata della convivenza, tenendo altresì conto dei bisogni di chi li domanda ed delle condizioni economiche di chi deve somministrarli.