Il riconoscimento è un atto con il quale i genitori si attribuiscono la maternità o paternità di una persona creando un rapporto giuridico con la stessa.
La disciplina della materia costituisce anch’essa oggetto di revisione legislativa ad opera della Legge n.154/2013 che ha eliminato ogni riferimento al termine “figli naturali”, equiparando giuridicamente i figli nati nell’ambito del matrimonio e al di fuori di esso.
Attraverso il riconoscimento un fatto puramente naturale, quale la nascita di un figlio al di fuori dal matrimonio, viene trasformato in atto idoneo a produrre rapporti giuridici tra il genitore che effettua il riconoscimento e il figlio riconosciuto.
Il riconoscimento può essere fatto dalla madre o dal padre nell’atto di nascita o in un secondo momento con apposita dichiarazione dinanzi ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento.
Se il figlio da riconoscere ha compiuto quattordici anni occorre il suo assenso.
Il riconoscimento del figlio infraquattordicenne non può avvenire senza il consenso del genitore che abbia proceduto al riconoscimento.
In ogni caso, costituisce oggetto di tutela esclusivamente l’interesse del minore.
Di conseguenza, il nostro codice prevede la possibilità che si possa agire giudizialmente per ottenere un provvedimento che abbia gli effetti del riconoscimento.
L’azione può essere promossa dal figlio e se questi muore prima di aver iniziato l’azione, essa può essere promossa dai discendenti entro due anni dalla morte. Il procedimento può essere promosso contro il presunto genitore o i suoi eredi. In mancanza di costoro, l’azione è proposta nei confronti di un curatore nominato dal Giudice dinanzi al quale il procedimento deve essere avviato.
La sentenza che dichiara la sussistenza del rapporto di filiazione produce gli effetti del riconoscimento.
Il disconoscimento della paternità è un’azione giudiziale che può essere proposta per rimuovere l’attribuzione della paternità del figlio concepito durante il matrimonio al marito.
In genere, infatti, si presume che il coniuge sia il padre del figlio concepito; ma può anche non essere così. Al fine di negare la paternità del marito, l’art. 243 bis c.c. prevede l’azione di disconoscimento.
La disciplina, precedentemente prevista nell’art. 235 c.c., è stata adesso trasposta nel nuovo articolo 243 bis c.c., aggiunto dalla Legge n. 154 del 2013.
L’azione può essere proposta non solo dal marito ma anche dalla madre e dal figlio. Ne è escluso il padre naturale.
Il ricorrente deve provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre.
Sono, invece, venuti meno i tradizionali presupposti previsti dalla precedente disciplina al fine di instaurare l’azione ossia la mancata coabitazione fra i coniugi, l’impotenza e l’adulterio.